La crisi delle istituzioni religiose è automaticamente crisi interiore?

In un intervento sul suo blog, che rimanda a un articolo pubblicato da “Liberal” il 16 ottobre, Luigi Accattoli fa una disamina molto intensa e interessante dell’apertura dell’Anno della fede e della rilettura di Benedetto XVI riguardo al Concilio Vaticano II. Dopo aver valorizzato alcuni gesti simbolici del Papa, Accattoli pone due problemi, che qui riportiamo, rimandando il lettore al testo integrale.

Ci sembra una riflessione che non debba andare perduta.

[…] Benedetto dunque non esita a muovere critiche ai documenti conciliari e la sua libertà suggerisce che anche la sua veduta possa prestarsi a qualche osservazione: ne faccio mie le note essenziali, ma almeno in un punto – quello della considerazione della modernità come nemica a Dio – essa mi appare a dominante eurocentrica e intellettuale. Eurocentrica: perché certo nell’Europa si manifesta quel portato estremo della secolarizzazione che Benedetto indica come “vuoto” e “deserto” di Dio, ma non credo che lo stesso si possa dire del resto del mondo. Ed è ormai nel Sud del pianeta la più gran parte – e viva – delle Chiese cristiane.

Oltre che eurocentrica, quella del Papa mi appare come la veduta tipo dell’intellettuale: mirata cioè all’ideologia della modernità più che all’umanità contemporanea. L’ideologia del moderno emargina le fedi, vuole una scena pubblica sottratta alla loro influenza, perché possa valere come campo di tutti, compresi i “senza Dio”; ma non è detto che l’intera umanità contemporanea abbia fatto sua questa sindrome areligiosa o antireligiosa, neanche nella nostra Europa.

La vocazione religiosa dell’umanità non cessa con la cessazione della dominante ecclesiastica della vita pubblica, ma sopravvive in altre forme, sotto e tra le maglie di quella vita pubblica che ormai prescinde dalle fedi.

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